

HBI S.r.l.
Via A. Volta 13/A, 39100 Bolzano (BZ) | Via Zecchina 19/A, 31055 Quinto di Treviso (TV)
Partita Iva VAT: 02439010220
www.hbigroup.it | info@hbigroup.it
© 2023 HBI Group. Privacy Policy
HBI è l’acronimo di Human Bio Innovation. Da cosa è nato l’interesse verso il settore green?
Il nome Human Bio Innovation racchiude in sé i valori propri della nostra azienda: l’innovazione sostenibile al servizio dell’umanità. È con questo spirito che HBI opera ed è attiva nel suo settore. L’interesse per il mondo green nasce in primo luogo dalla sensibilità verso il rispetto dell’ambiente che il mio socio, Renato Pavanetto, ed io abbiamo avuto sin da giovani. Sicuramente questa propensione si è strutturata ed è maturata in me durante il mio percorso di studi. Dopo il liceo scientifico, ho studiato ingegneria ambientale a Padova e Trento, per poi conseguire un dottorato di ricerca sempre in ingegneria ambientale. Se guardiamo alla sostenibilità, non dobbiamo dimenticarci che essa si basa su tre pilastri: quello economico, quello ambientale e quello sociale. In HBI cerchiamo l’armonia e la sinergia di queste tre dimensioni, essendo una entità economica, che opera nel settore della green economy e che ha una forte attenzione al benessere delle persone e del territorio, di oggi e delle generazioni future.
HBI è nata come start-up nel 2016 del settore green. La mission è quella di promuovere presso le aziende ed altre realtà l’utilizzo di una cultura altamente tecnica ma al tempo stesso improntata alla sostenibilità. Emblematica in tal senso è la vostra recente invenzione in tema di trattamento dei fanghi industriali, da conceria e dei rifiuti biodegradabili. In cosa consiste il vostro brevetto? Avete altri progetti per il futuro?
La mission di HBI è quella di promuovere tecnologie sostenibili per l’implementazione dell’economia circolare. Quindi la nostra attività principale è quella di sviluppare soluzioni innovative, e per questo abbiamo siglato importanti partnership con prestigiosi atenei internazionali e centri i ricerca. È quindi evidente che l’attività inventiva rappresenti una parte fondamentale nel nostro lavoro. I nostri tre brevetti (un quarto lo stiamo depositando) si basano su soluzioni sinergiche che siamo riusciti ad identificare e ingegnerizzare. A mio avviso, il più importante dei tre è quello relativo al nostro sistema emission free, ossia a zero emissioni.
Questo rappresenta per noi un importantissimo vantaggio competitivo, perché nessuno dei nostri competitor sia diretti che indiretti può dire la stessa cosa: chi più chi meno, tutti hanno emissioni gassose che, prima di essere rilasciate in atmosfera, devono essere trattate. Inoltre, soprattutto chi propone tecnologie simili alla nostra per il trattamento dei fanghi di depurazione, deve fare i conti con gli odori sprigionati con le emissioni. Noi essendo emission free, siamo di conseguenza anche odour free. Un altro brevetto di cui andiamo fieri è quello che ci consente di essere energeticamente autosufficienti: escluse le fasi di accensione dell’impianto, a regime il sistema si auto sostenta senza il ricorso di energia elettrica dalla rete. Abbiamo certamente altri progetti: partecipiamo all’IPCEI sull’idrogeno, con l’obiettivo di produrre idrogeno bianco, e stiamo sviluppando altri upgrade per la valorizzazione dei fanghi, per esempio. Il nostro obiettivo è tendere al rifiuto zero: oggi siamo riusciti ad ottenerne una riduzione del 90%.
Nelle politiche programmatiche sia del Governo italiano che dell’Unione europea la digitalizzazione e la transizione ecologica sono considerate driver dell’economia considerate non soltanto per l’importanza che rivestono all’interno del tessuto economico ma anche per le risorse ad esse destinate. Crede che una start up come la vostra riceva da parte del Legislatore le giuste attenzioni? Qual è la ricetta (se esiste) ideale per fare in modo che in Italia una start up possa crescere ed affermarsi sul mercato?
Mi permetto di dire che da quest’anno diventiamo “maggiorenni” e non saremo più una startup ma una company a tutti gli effetti. A mio avviso gli strumenti governativi nazionali ed internazionali di supporto sono validi. Forse è banale dirlo, a volte c’è un po’ troppa burocrazia, ma io l’ho sempre ritenuta importante perché ci ha permesso di approfondire la nostra posizione e di validare le nostre ipotesi. Diciamo che lo sforzo richiesto aiuta a consolidare il progetto e costringe a riflettere più volte su di esso. Lo dico perché spesso succede di avere delle buone intuizioni, purtroppo non sufficientemente mature per poterle definire business. Sposterei più che altro il focus su un’altra questione: quella della cultura imprenditoriale.
Il tessuto imprenditoriale italiano è per lo più costituito da piccole e medie imprese, il più delle volte famigliari. Questo ha almeno due implicazioni: si tende ad una crescita asintotica, non esponenziale. L’obiettivo non è, per esempio, tendere alla quotazione o ad operazioni straordinarie quali l’M&A, ma arrivare “a regime”, condizione in cui l’azienda funziona e non sente il bisogno di crescere. La seconda implicazione, che è strettamente collegata alla prima, è lo sbilanciamento in termini di leva finanziaria: rispetto agli altri Paesi europei: in Italia c’è una forte propensione al ricorso al credito, mentre viene forse ancora troppo sottovaluto il capitale di rischio. Penso quindi che una più strutturata educazione finanziaria ed imprenditoriale, assieme ad un maggior coraggio imprenditoriale, possano essere una chiave di sviluppo per l’imprenditoria italiana.
Ogni italiano “produce” in media venti chilogrammi di fanghi da depurazione: scarti che, allo stato attuale, devono essere smaltiti in discarica o negli inceneritori. Hbi punta a ridurre questa quota a non più di due chilogrammi, e anche meno in futuro, fino ad azzerarla quasi del tutto. Non solo, il sistema messo a punto dalla società trevigian-bolzanina consente di recuperare il “tesoro” nascosto nei residui della depurazione dei reflui fognari, estraendo acqua pulita, energia e sostanze da reimpiegare in altre lavorazioni. Il tutto grazie ad una sorta di tecnologica “pentola a pressione”. «Ci proponiamo di trasformare i comuni depuratori delle acque in bioraffinerie poligenerative, in grado di produrre materiali ad alto valore aggiunto, rinnovabili e sostenibili, nella direzione dell’economia circolare», sottolineano i due fondatori Daniele Basso e Renato Pavanetto.
Il cuore del progetto sta nella combinazione di due procedimenti termochimici. «Due processi di per sé semplici, ma singolarmente non efficaci – spiega Basso, laurea e dottorato di ricerca in ingegneria ambientale all’università di Trento e un master in business administration alla Bocconi, ad della società – Li abbiamo accoppiati in maniera innovativa, raggiungendo elevati livelli di performance e, soprattutto, di sostenibilità. Non vengono inseriti catalizzatori, agenti chimici, alghe o batteri: in estrema sintesi, si basa su pressione, temperatura e acqua. Una specie di bollitura». Gli scarti finali del trattamento della depurazione dei reflui vengono ridotti del 90%. Per capire la portata dell’operazione, bastano un paio di numeri: in Europa si accumulano 50 milioni di tonnellate di fanghi ogni anno, nel mondo 200 milioni di tonnellate, in costante crescita come i costi di smaltimento, oggi intorno a 200 euro a tonnellata. L’Italia, per giunta, è stata sottoposta a varie procedure di infrazione, da parte delle autorità europee sulla materia. La tecnologia Hbi è autosufficiente dal punto di vista energetico e non genera emissioni, né odori. In più, permette di estrarre sostanze “pregiate”, come ammoniaca, fosforo e altri nutrienti che, raffinati, possono essere riutilizzati, ad esempio, in agricoltura.
Nonché l’85% dell’acqua di cui la melma è impregnata. Il (poco) composto rimanente al termine del processo è sterilizzato, eliminati la carica batterica e virale e i resti di farmaci od ormoni. Date le dimensioni relativamente compatte, l’impianto può essere facilmente installato in un depuratore già esistente. Nata a Treviso nel 2016, Hbi (Human bio innovation) porta avanti le attività di ricerca e di sviluppo del business all’interno di Noi Techpark, il parco scientifico e tecnologico dell’Alto Adige, mentre la parte di progettazione, ingegneria e prototipazione ha base a Quinto di Treviso, nella sede di Carretta, azienda di robotica e automazione industriale, fin dall’origine partner nell’avventura. Nel tempo si sono aggiunti soci e investitori, il progetto (partito in origine dagli scarti agroalimentari, per poi orientarsi sui fanghi) ha fatto incetta di premi (anche in Cina e a San Francisco) e ha beneficiato della collaborazione di enti come la Libera Università di Bolzano, il Politecnico di Milano, l’Enea. Cinque anni di lavoro, oltre 200 test, tre brevetti (più un quarto in procinto di essere depositato), il sistema dovrebbe iniziare la sperimentazione operativa nel depuratore di Bolzano tra maggio e giugno, per sbarcare sul mercato entro fine 2021. Hbi, però, non si ferma: «Stiamo lavorando per applicarlo anche ai fanghi industriali, da cui recuperare i metalli, e a quelli di conceria, per il cromo, oltre che ai rifiuti biodegradabili – annuncia Basso – E puntiamo ad aumentare la riduzione dello scarto al 95%, così da avvicinarci al rifiuto zero».
In Europa si producono 50 milioni di tonnellate all’anno di fanghi di depurazione e il trend prevede un costante aumento nella produzione di questi scarti. Nel mondo sono 200 milioni, anche queste in costante aumento. Ogni italiano “produce” circa 20 kg di fanghi all’anno e recuperare il “tesoro” racchiuso in questi fanghi, trasformandoli in risorsa ad alto valore aggiunto, è un vantaggio strategico a 360 gradi. Ad oggi i. fanghi di depurazione sono per lo più smaltiti in discarica o negli inceneritori. anche se altre modalità di smaltimento quali lo spargimento in agricoltura (con tutti i rischi connessi alla diffusione di sostanze chimiche inquinanti ed agenti patogeni) tutt’ora costituiscono delle alternative, seppur sempre più limitate.
I costi di trattamento e smaltimento dei fanghi in Italia possono raggiungere e superare i 200 euro per tonnellate e sono in costante crescita. Le alternative tecnologiche oggi in uso sono: Essiccazione: forti emissioni in atmosfera (vapore/odori), elevato dispendio energetico; Piro-gassificazione: necessità di pretrattamenti energivori. produzione di sottoprodotti nocivi {gas, tar): HTC: necessità di post-trattamenti (hydrochar, acqua di processo), produzione di gas/odori; Trattamenti biologici: lunghi tempi di trattamento (=elevate dimensioni impianti), bassa efficienza, odori; Spargimento: diffusione agenti chimici, biologici e patogeni, metalli pesanti, carico di azoto.
HBI ha realizzato un nuovo sistema per il trattamento dei fanghi industriali, dei fanghi da conceria e dei rifiuti biodegradabili: ha ideato, sviluppato e brevettato un sistema integrato modulare che valorizza i fanghi di depurazione, altrimenti destinati a discarica o incenerimento, mediante estrazione di acqua pulita; produzione di energia rinnovabile; recupero di “chemicals” contenuti (materi.ali ad alto valore aggiunto quali ammoniaca. fosforo ed altri macro e micro nutrienti che, una volta raffinati, possono essere utilizzati in agricoltura); riduzione degli scarti finali del 90% con un risparmio economico rilevante; sterilizzazione dei materiali residui. con completa eliminazione della carica batterica, virale e dei residui di farmaci e ormoni.
La tecnologia HBI è una rivoluzione nel trattamento dei fanghi di depurazione per i quali, tra l’altro, l’Unione Europea aperto una serie di procedure di infrazione nei confronti dell’Italia, l’ultima delle quali (la quarta) e la 2017/2181. Un’altra caratteristica distintiva della tecnologia HBI è che il sistema poli-generativo ha dimensioni compatte e quindi può essere aggiunto in modalità plug-and-play per impianti già esistenti sui territori, come la rete dei depuratori comunali, con estrema facilità, permettendo loro di diventare a tutti gli effetti un impianto zero-Waste. HBI sta lavorando per applicare sul sistema integrato anche ai fanghi industriali (da cui recuperare i metalli) e i fanghi di conceria (da cui recuperare il cromo) oltre che ai rifiuti biodegradabili (residui di trattamento della frazione organica dei rifiuti e percolati).
HBI – Human Bio lnnovation (“You must be the change you want to see in the world“ *devi essere cambiamento che vuoi vedere nel mondo), società innovativa che crede nell’importanza di posizionarsi come azienda con l’obiettivo di preservare i sistemi naturali e migliorare il benessere umano e l’equità sociale. Sviluppa soluzioni per l’industria, svolgendo l’attività di ricerca, sviluppo, prototipo azione e dimostrazione di tecnologie innovative e di design per la promozione e l’implementazione dell’economia circolare: propone l’edonismo e la filantropia industriale, sistemi e processi esteticamente curati a servizio delle persone, delle aziende e dello sviluppo sostenibile.
HBI È nata come start-up, fondata a Treviso nell’ottobre del 2016 da Daniele Basso (M.Sc e Ph.D Ingegneria ambientale e EMBA in SDA Bocconi) Che anche CEO Dell’azienda e Renato Pavanetto (imprenditore). In questi anni ha portato avanti le attività di ricerca e sviluppo e di business development a Bolzano grazie alle partnership con UNIBZ- Università di Bolzano, trovando spazio all’interno di “NOI TechPack”(Il Parco scientifico e tecnologico dell’Alto Adige), mentre la parte di progettazione, ingegneria e prototipazione a continuato ad avere base a quinto di Treviso (con CARRETTA Srl, partner tecnico per la robotica e le automazioni industriali). HBI, In pochi anni, ha già maturato un know how di competenze riconosciute a livello internazionale, con all’attivo tre brevetti industriali, che la rendono un partner strategico credibile e affidabile. Ha costruito importanti e durature collaborazioni con il politecnico di Milano, l’ENEA Ed è parte della Piattaforma Nazionale del Fosforo, promossa dal Ministero dell’ambiente. HBI Non si limita a fornire la tecnologia ma affianca l’azienda nel fare questo salto “culturale” che le permette di migliorare la propria impronta ecologica cominciando a pensare in chiave green. HBI, infatti, Si propone di trasformare i comuni depuratori delle acque in bioraffinerie poligenerative, quindi in grado di produrre materiali ad alto valore aggiunto, rinnovabili sostenibili, assieme ad energia pulita, a partire dei fanghi di depurazione, che sono prodotti scarti dei depuratori stessi.l’obiettivo ultimo di HBI è quindi quello di portare innovazioni Green e sostenibile i settori industriali chiave.
Un’altra caratteristica della tecnologia HBI è che il sistema poli-generativo a dimensioni compatte e quindi può essere aggiunto in modalità plug-and-play ad impianti già esistenti e territori, come la rete dei depuratori comunali, con estrema facilità, permettendo loro di diventare a tutti gli effetti un impianto zero-waste. E questo comporta una riduzione del 90% dei fanghi; recupero dell’85% dell’acqua contenuta nei funghi; processo in continuo; no emissioni, non odori; energeticamente autosufficiente; estremamente compatto (0,005 m²/ton/y). La tecnologia HBIè frutto di più di cinque anni di ricerca e sviluppo, oltre 200 test, tre brevetti. Il primo impianto dimostrativo HBI sarà inaugurato ad aprile 2021 presso il depuratore di Bolzano.
“La tecnologia sviluppata e brevettata da HBV-spiega Daniele Basso-è all’avanguardia in quanto esempio concreto di sistema circolare sostenibile, che trasforma un rifiuto come i fanghi di depurazione materiali e rinnovabili nella completa assenza delle emissioni e degli impatti ambientali che tuttora caratterizzano la maggior parte delle soluzioni tecnologiche disponibili. La nostra tecnologia, infatti, integra due processi innovativi per il trattamento dei residui biodegradabili consentendo di trasformare un comune depuratore delle acque in una bioraffineria poligenerativa con una riduzione fino al 90% del materiale da inviare allo smaltimento finale. Di conseguenza, genera un triplice enorme beneficio ai depuratori.in primo luogo, si possono in modo drastico diminuire i costi sinora sempre crescenti di smaltimento del fango, con vantaggi, quindi, anche per le bollette dei cittadini.inoltre, dai funghi si possono recuperare materiali di alto valore aggiunto in modo totalmente sostenibile e rinnovabile.tutto questo, ed è il terzo beneficio, producendo energia pulita. La nostra tecnologia consente, infatti, di separare, e quindi recuperare, materiali ad alto valore aggiunto dei fanghi di depurazione e la nostra auto termica dei processi, combinata con la possibilità di produrre energia rinnovabile dei fanghi stessi, consente al sistema di essere totalmente autosufficiente dal punto di vista energetico. infatti, il contenuto energetico potenziale del fango, inutilizzabile a causa dell’elevato contenuto di acqua nei funghi stessi (superiore al 70%), viene reso chimicamente utilizzabile dal sistema e quindi impiegato, sottoforma di energia elettrica e termica, per sostenere l’impianto.
HBI ha ha, inoltre, sviluppato e brevettato un dispositivo mediante il quale il sistema integrato risulta essere completamente privo di emissioni gassose ed odorigine.
I materiali estraibili su cui oggi HBI si sta concentrando sono l’ammoniaca e dei macro nutrienti, quali il fosforo. In prospettiva, si potranno separare ed estrarre anche altri materiali, a tutti gli effetti rinnovabili totalmente sostenibili e a zero emissioni.quindi, se oggi HBI è riuscito a ottenere una riduzione di quasi il 90% del materiale che ho già avviato a smaltimento finale (tipicamente discarica ed incenerimento), Nel medio periodo questa percentuale sarà destinata ad aumentare, tendendo allo sfidante obiettivo del “rifiuto zero””.
Da scarto a tesoro. A compiere la magica trasformazione è una giovane azienda trevigian-bolzanina, la Human Bio Innovation ( Hbi). Per cinque anni, dal 2016 ad oggi, i suoi fondatori Daniele Basso e Renato Pavanetto si sono chiusi in un laboratorio, lavorando a una nuova tecnologia che riuscisse a valorizzare i fanghi di depurazione. Alla fine ce l’hanno fatta. A giugno di quest’anno, hanno installato nel depuratore di Bolzano il loro primo modulo industriale, un sofisticato sistema che riduce del 90% il materiale da smaltire.
«La tecnologia Hbi è una rivoluzione nel trattamento dei fanghi di depurazione, per i quali, tra l’altro, l’Unione Europea ha aperto una serie di procedure di infrazione nei confronti del nostro Paese, l’ultima delle quali, la quarta, è del 2017 -spiegano Basso e Pavanetto -. Ogni cittadino produce quasi 20 chili di fanghi all’anno e recuperare il “tesoro” racchiuso in questi fanghi, trasformandoli in risorsa, è un vantaggio strategico a 360 gradi».
La tecnologia sviluppata e brevettata dall’azienda trevigiana è un esempio concreto di sistema circolare e sostenibile, che integra due processi innovativi per il trattamento di residui biodegradabili, altrimenti destinati a discarica o incenerimento, consentendo di trasformare un comune depuratore delle acque in una «bioraffineria poligenerativa». Grazie a quest’ultima, il depuratore può estrarre acqua pulita, produrre energia rinnovabile, recuperare i cosiddetti chemicals presenti nei fanghi, vale a dire materiali ad alto valore aggiunto come ammoniaca, fosforo e altri macro e micro nutrienti che, una volta raffinati, pos sono essere riutilizzati in agricoltura.
Infine, insieme alla riduzione degli scarti finali, l’impianto riesce a sterilizzare i materiali residui eliminando completamente la carica batterica, virale e dei residui di farmaci e ormoni. La possibilità di produrre energia rinnovabile dai fanghi stessi e la natura autotermica dei processi rendono l’intero sistema autosufficiente dal punto di vista energetico. «Infatti, il contenuto energetico potenziale del fango, inutilizzabile a causa dell’elevato contenuto d’acqua nei fanghi stessi, che è superiore al 70%, viene reso chimicamente utilizzabile dal sistema e quindi impiegato, sotto forma di energia elettrica e termica, per sostenere l’impianto medesimo», chiariscono i due imprenditori trevigiani. Non solo. L’azienda ha accompagnato lo sviluppo di questa tecnologia complessa a un altro brevetto, relativo a un dispositivo che abbatte le emissioni gassose e odorigene dell’impianto. In poche parole, tutto intorno al depuratore non si sente alcun odore sgradevole, come spesso accade in queste situazioni. «Il nostro sistema ha anche un’altra importante caratteristica distintiva – riprendono i due imprenditori -, che è quella di avere dimensioni com – patte e quindi può essere aggiunto agli impianti già esistenti, come la rete dei depuratori comunali, con estrema facilità, permettendo loro di diventare a tutti gli effetti impianti a rifiuto zero e quindi senza la necessità di realizzare nuove infrastrutture aggiuntive». Un piccolo tesoro di cui, per primi, godranno gli abitanti del capoluogo altoatesino. «A Bolzano dobbiamo molto – spiegano Basso e Pavanetto -: qui, grazie alle partnership con la Libera Università di Bolzano e NOI Techpark, il parco scientifico e tecnologico dell’Alto Adige, abbiamo potuto portare avanti le nostre attività di ricerca e sviluppo e di business development. Il reparto Tech Transfer Green di NOI Techpark, in particolare, ci ha supportati durante tutto il percorso di sviluppo, dal monitoraggio delle opportunità per co-finanziare le attività di innovazione al sostegno nel – la strutturazione e preparazione delle proposte progettuali, fino all’identificazione del luogo più adatto e del partner migliore per installare il nostro impianto pilota».
In queste settimane, è emerso come l’azione sconsiderata di alcuni individui, in nome del profitto, abbia messo a rischio molte persone e, in alcuni drammatici casi, ne abbia causato direttamente la morte. Tre i casi che mi hanno toccato: la morte di Luana a Prato, la strage della funivia di Stresa, lo sversamento di fanghi tossici nelle campagne bresciane.
La quotidianità ci racconta di un contesto industriale in cui gli infortuni, i danni alla salute e le morti sul lavoro sono troppo spesso una costante. Gli incidenti possono succedere, non tutte le cause sono prevenibili ed evitabili e, in questi casi, rimane solo il dolore e la necessità di unirsi per far fronte alla perdita. Ma quando le cause potevano essere evitate, si passa dalla casualità al dolo. Si sarebbe potuti intervenire, ma non lo si è fatto. È giusto quindi porsi delle domande circa l’imprenditore e le sue responsabilità.
La vicenda della frode di Brescia racconta come questo modo di fare impresa sia pericoloso e abbia impatti che vanno al di là del danno diretto causato: storie di dipendenti convinti che il bene dell’azienda sia superiore alla salute del prossimo, storie di leggi ignorate e vincoli raggirati per aumentare i profitti, storie di portafogli che si riempiono di soldi e di animali, campi e persone che si riempiono di sostanze tossiche, storie di imprenditori che lasciano ai figli esempi da non imitare e un mondo in cui sarà difficile vivere. Così non può più essere. Nei prossimi anni il ruolo dell’imprenditore diventerà ancora più centrale e ciò è ormai ancor più evidente dopo aver vissuto la situazione pandemica, che ha cambiato molte carte in tavola: se agli Stati sarà chiesto di porre le regole del gioco, con interventi normativi e regolatori, alle aziende sarà dato un ruolo — mai così rilevante, prima d’ora — di ridefinire il mondo in cui lavoriamo e viviamo. Le aziende saranno in grado di adempiere a questo incarico storico solo se gli imprenditori che le guidano saranno all’altezza della chiamata. Siamo giunti al momento in cui il pianeta – e chi lo abita – non è più in grado di sostenere azioni lesive per l’ambiente, per la comunità, per l’economia. Il paradigma di Industria 5.0 dovrà essere quello dell’industria sostenibile, altrimenti detto della sustindustry, un modello in cui è il motore del cambiamento sostenibile. È il momento di cambiare marcia. È il punto di non ritorno: la pandemia sta finendo e le attività ripartiranno, finanziamenti nazionali ed internazionali offriranno occasioni di innovazione e trasformazione. Sono occasioni che non possiamo perdere, che dobbiamo valorizzare con impegno, inventiva e proattività, perché dobbiamo tutti contribuire quotidianamente al miglioramento.
Energie rinnovabili, soluzioni innovative per rendere sempre minore l’impatto dell’uomo sull’ambiente. Come dice il giornalista Rai Andrea Bettini introducendo il suo servizio sull’ecosistema altoatesino di NOI Techpark: «Un’attenzione all’ambiente fondamentale per salvaguardare il nostro pianeta». E anche per costruire un futuro migliore. Non è un caso che il servizio su NOI Techpark sia andato in onda proprio nella trasmissione di RaiNews «Futuro24». Dodici minuti per un viaggio all’interno del parco tecnologico che fa da cerniera fra Nord e Sud d’Europa. La puntata di «Futuro24» è disponibile online, per chi la volesse rivedere, a questo link.
Protagonista del racconto è la ricerca, in particolare quella di Eurac. Innovazione al servizio dell’ambiente in maniera concreta, grazie al collegamento stretto col mondo imprenditoriale. «Facciamo ricerca applicata – spiega il direttore Wolfram Sparber – attraverso la nostra attività diamo una mano nello sviluppare prodotti più efficienti e rinnovabili. E anche a chi deve prendere decisioni, a livello territoriale e nazionale». Fiore all’occhiello di Eurac Research è il nuovo laboratorio, terraXcube. Un gioiello ideato e pianificato dagli ingegneri di Eurac e finanziato dalla Provincia Autonoma di Bolzano con 7 milioni di euro, già ribattezzato la «Macchina delle meraviglie». Entrare in terraXcube, infatti, è un po’ come salire a bordo di una macchina del tempo e dello spazio, affrontando un viaggio in cui nulla è come sembra. «Mentre fuori splende il sole – spiega il direttore di terraXcube, Christian Steurer – dentro possiamo produrre burrasche di vento, modificare i livelli di ossigeno, portare la temperatura fino a – 40°, far scendere 50 mm all’ora di neve o 60 mm all’ora di pioggia, “salire” fino a 9.000 metri di quota e far aumentare o diminuire vertiginosamente la pressione dell’aria: situazioni estreme nelle quali i ricercatori potranno testare prodotti industriali ed effettuare avanzati esperimenti di natura ecologica e medica».
Spazio anche all’innovazione applicata all’agricoltura. Come fa il team di HBI, una startup che ha trovato in NOI Techpark luogo di crescita e sviluppo e nell’Università di Bolzano il perfetto partner per la ricerca. Che fine fanno gli scarti organici, quelli che per definizione non servono più? Considerati spazzatura da buttare, causano il problema del loro smaltimento. E se invece quei rifiuti fossero trattati e trasformati in un materiale che può essere usato come energia rinnovabile, per aumentare la produttività dei terreni o addirittura come filtro per depurare le acque? Il tutto in cinque ore? Ed è questa l’idea alla base dell’avventura imprenditoriale di HBI: è utilizzare una tecnologia ad alta efficienza, veloce e a zero emissioni per ingegnerizzare un materiale chiamato Greenpeat, ottenuto dalla trasformazione di rifiuti biodegradabili.
(d.m.) – Prestigioso riconoscimento per la costituenda startup HBI, vincitrice dell’ultima edizione del Premio D2T ed ospitata nell’incubatore “green” di Trentino Sviluppo, Progetto Manifattura. Giovedì 25 febbraio a Milano si è infatti aggiudicata due premi nella finale nazionale della “Global Social Venture Competition”, prestigioso concorso internazionale promosso dalla HAAS School of Business di Berkeley per favorire lo sviluppo di nuove imprese a forte rilevanza sociale o ambientale. HBI, nata nell’ambiente accademico, ha sviluppato una tecnologia innovativa che sfrutta una tecnologia di valorizzazione idrotermica (HTC) per la trasformazione dei residui vegetali, quali quelli delle industrie alimentari, in un materiale utilizzabile sia per scopi energetici che come ammendante nei terreni agricoli.
HBI è una costituenda startup universitaria promossa da Daniele Basso, attualmente dottorando presso l’Università degli Studi di Trento. Utilizza una tecnologia innovativa, chiamata appunto HTC, grazie alla quale è possibile trasformare i residui vegetali in un materiale, chiamato Greenpeat, utilizzabile sia per scopi energetici che come materiale ecologico e pulito per il miglioramento delle prestazioni dei terreni agricoli.
La tecnologia è di semplice applicazione ed è funzionale sia nel caso di impianti di dimensioni ridotte, per piccole e medie industrie alimentari, sia in presenza di grandi impianti rivolti ad importanti stabilimenti industriali o a società di trattamento dei rifiuti.
L’innovatività della tecnologia sviluppata da HBI consiste nel riuscire a risolvere contemporaneamente due problemi – quello del trattamento efficace dei rifiuti e quello dell’utilizzo di risorse fossili – creando una risorsa ad alto valore aggiunto. Inoltre, a differenza dei comuni processi di trattamento di questi scarti (pirolisi, gassificazione, ecc.), questa tecnologia può essere applicata agli scarti tal quali e non ha emissioni gassose.
Alla finale nazionale della Global Social Venture Competition, tenutasi a Milano giovedì 25 febbraio, HBI è arrivata dopo aver superato tre fasi di selezione che hanno ristretto la cerchia delle candidate alle sette migliori proposte a livello nazionale, a fronte delle oltre cento idee imprenditoriali segnalate inizialmente.
Due i premi speciali vinti: il primo per la migliore idea nell’area “Green e Circular Economy”, offerto dal gruppo Italeaf di Terni, che seleziona e sostiene progetti industriali nel settore del clean-tech e in quello industriale ad alto contenuto tecnologico; il secondo, per la migliore idea nell’area “Bioeconomy”, offerto dal Parco Tecnologico Padano di Lodi, che svolge attività di ricerca mirate all’innovazione e alla creazione di valore per le filiere produttive, nei settori dell’agroalimentare, della bioeconomia e delle scienze della vita.
Una startup trevigiana conquista gli investitori cinesi. La Hbi di Quinto, con la sua tecnologia in grado di produrre energia pulita dai rifiuti organici in poche ore, è stata scelta tra le cinque migliori imprese mondiali del concorso organizzato dall’Euroasian Economic Forum, il convegno internazionale organizzato pochi giorni fa a Xi’an, Cina, dal Ministero della scienza e innovazione cinese assieme al Miur italiano. La sorpresa per i soci trevigiani della Hbi, tuttavia, è arrivata dopo le premiazioni, quando dalla platea si sono alzati gli imprenditori cinesi interessati a investire nella distribuzione della tecnologia. Per l’impresa trevigiana è il secondo importante riconosci- mento in terra cinese. «Il premio di per sé è di qualche migliaio di euro e non fa la differenza, ma l’obiettivo in questi casi è avere il biglietto da visita degli investitori alla fine della presentazione», spiega Da- niele Basso, ingegnere fondatore della startup che ha sede a Quinto, «stavolta è successo. Si sono fatti avanti tre potenziali investitori e due potenziali altri partner, ci siamo seduti immediatamente a un tavolo e le trattative sono avviate».
Hbi ha inventato una tecnologia in grado di trasformare il rifiuto umido in un fango molto denso da cui si separano acqua e Greenpeat, una sorta di torba, generando un combustibile pulito, il tutto in tempi estremamente più rapidi rispetto alle procedure attualmente utilizzate a livello industriale. Se utilizzata su larga scala, sarebbe una rivoluzione nel mondo delle energie rinnovabili. E l’interesse del mercato cinese servirà per realizzare il primo impianto su scala industriale su cui applicare la nuova tecnologia.
Non c’è il rischio, ora, che anche questa tecnologia Made in ne Italy ci venga “soffiata” dai cinesi? Sicuramente il mercato cinese è più veloce del nostro» risponde Basso, ma la decisione di cercare investitori nel Far East è una precisa logica aziendale. Non abbiamo abbandonato I’Italia e l’Europa: qui lavoreremo con il network consolidato re di Carretta Srl, che già lavora con queste tecnologie. Hbi dà in licenza a Carretta la tecnologia, e l’azienda la vende alle industrie agroalimentari, si preoccupa della costruzione dell’impianto, lo segue negli anni in cui è in garanzia». Per aprirsi al mercato del Far East ci sono due strade: o restare presenti fisicamente in loco, oppure delegare la distribuzione (e la conoscenza) del prodotto a un partner commerciale locale. II team di Hbi (già votata startup trevigiana dell’anno, ne fanno parte anche Renato Pavanetto di Carretta, Sara Sbroggiò, Alberto Serena, Massimo, Giancarlo e Andrea Pavanetto) ha scelto la seconda strategia.
Andrea De Polo
Prestigioso riconoscimento per HBI Srl, la startup innovativa fondata da Daniele Basso e Renato Pavanetto, durante la premiazione finale del Premio Gaetano Marzotto, il più importante riconoscimento a livello nazionale per le startup. Giovedì 2 dicembre a Roma si sono infatti tenute le premiazioni delle migliori startup italiane, selezionate tra quasi 1000 che avevano partecipato al concorso.
HBI Srl è una startup innovativa che lavora nel campo della green e circular economy. HBI Srl, nata sulla base del dottorato di ricerca di Basso, ha messo a punto una tecnologia innovativa che trasforma gli scarti dell’industria agroalimentare, in un materiale rinnovabile e pulito, che può essere utilizzato per molteplici scopi: come condizionatore del terreno, come materiale filtrante o come combustibile solido ad alto rendimento.
“You must be the change you want to see in the world” è la filosofia di HBI Srl, una startup nata dall’idea di Daniele Basso, un giovane ricercatore universitario, che assieme all’imprenditore Renato Pavanetto ha messo a punto una tecnologia innovativa grazie alla quale è possibile trasformare gli scarti dell’industria agroalimentare (quali ad esempio, la vinaccia, gli scarti dell’agricoltura così come quelli della gestione del verde) in un materiale, chiamato Greenpeat, utilizzabile sia come materiale ecologico e pulito per il miglioramento delle prestazioni dei terreni, sia come precursore per la produzione di carboni attivi e filtri, oppure come combustibile solido pulito ad alto rendimento.
La tecnologia è di semplice applicazione ed è funzionale sia nel caso di impianti di dimensioni ridotte, da applicarsi per esempio a piccole e medie industrie alimentari, sia in presenza di grandi impianti rivolti ad importanti stabilimenti industriali o a società di trattamento dei rifiuti.
L’innovatività della tecnologia sviluppata da Basso e Pavanetto consiste nel riuscire a risolvere contemporaneamente due problemi: quello del trattamento efficace degli scarti agroindustriali, sia quello dello sfruttamento di risorse fossili (come la torba), contestualmente producendo un materiale ad alto valore aggiunto, completamente in accordo con i concetti di economia circolare ed economia verde. Inoltre, a differenza dei comuni processi di trattamento di questi scarti (compostaggio, digestione anaerobica, gassificazione, ecc.), questa tecnologia presenta rendimenti nettamente più alti, tempi di trattamento ridotti ed emissioni quasi del tutto trascurabili.
Il CEO di HBI Srl è Daniele Basso, ricercatore della Libera Università di Bolzano, e gli altri soci sono l’imprenditore Renato Pavanetto e la ditta Carretta Srl di Quinto di Treviso, leader da più di 25 anni nel campo delle automazioni industriali e della robotica.
Nell’ultimo anno, HBI Srl ha vinto numerosi premi nazionali ed internazionali, tra i quali il Premio Impresa Innovazione D2T (Trentino Sviluppo, Trento), il Premio Speciale “Green and Circular Economy” e il Premio Speciale “Bioeconomy” (Global Social Venture Competition, Milano), Premio Speciale Italeaf (Italeaf e Intesa San Paolo), Alimenta2Talents (PTP, Expo e Comune di Milano) e il Premio Unicredit StartLab (Unicredit, Milano).
A soli otto mesi dalla data di costituzione HBI Srl, la startup innovativa capitanata da Daniele Basso e Renato Pavanetto, sbarca a Pechino. Partenza prevista per domenica 21 Maggio da Venezia. HBI si è classificata alle semifinali del concorso “China Italy Innovation Entrepreneurship Competition 2017” che si terranno giovedì 26 Maggio a Tianjin, vicino a Pechino. Il concorso è promosso dall’International Technology Transfer Network ITTN, società del Ministero della scienza ed innovazione dello stato Cinese che ha lo scopo di promuovere il trasferimento tecnologico italo-cinese. Nel frattempo però i due soci di HBI si sono dati da fare, creando una fitta agenda di appuntamenti, che li vedranno impegnati tutta la settimana in incontri B2B con importanti investitori e società cinesi. “Per noi è un gran risultato avere la possibilità di incontrare una realtà ed una cultura così affascinante come quella cinese”, dice Daniele Basso, CEO di HBI. “Fare business in Cina è complesso, ma le prospettive che abbiamo sono ottime. Il fatto di essere stati invitati in Cina è stata per noi la dimostrazione che la nostra tecnologia attrae molto, perché va a migliorare l’ambiente generando valore per la società. E questo è gratificante, considerando l’enorme lavoro che con Renato e tutto il nostro team stiamo facendo da mesi”.
HBI è una startup innovativa che lavora nel campo della green e circular economy ed è stata fondata da Daniele Basso (CEO), Renato Pavanetto (CFO) e dai suoi fratelli Massimo, Giancarlo e Andrea della ditta Carretta Srl di Quinto di Treviso. Del team fanno attualmente parte anche l’ing. Alberto Serena e Sara Sbroggiò.
HBI ha messo a punto una tecnologia innovativa che, in sole 5 ore, trasforma gli scarti dell’industria agroalimentare (quali ad esempio, la vinaccia, gli scarti dell’agricoltura così come quelli della gestione del verde) in un bio-materiale, chiamato Greenpeat, utilizzabile sia come combustibile solido pulito ad alto rendimento, sia come condizionatore dei terreni (in sostituzione della torba fossile), sia come materiale filtrante o carbone attivo rinnovabile. “Quello che la natura fa in migliaia di anni, noi riusciamo a farlo in poche ore”, continua Basso.
Un progetto unico nel suo genere, applicabile sia ad impianti di ridotte dimensioni come, ad esempio, piccole e medie industrie alimentari, sia ad importanti stabilimenti industriali o a società di trattamento dei rifiuti.
L’innovatività della tecnologia sviluppata dalla HBI srl di Basso e Pavanetto consiste nel riuscire a risolvere in modo efficace due problemi: quello del trattamento efficace degli scarti agroindustriali e quello dello sfruttamento di risorse fossili, contestualmente producendo un materiale ad alto valore aggiunto, completamente in accordo con i concetti di economia circolare ed economia verde. Inoltre, a differenza dei comuni processi di trattamento di questi scarti (compostaggio, digestione anaerobica, gassificazione, ecc.), questa tecnologia presenta rendimenti nettamente più alti, tempi di trattamento estremamente ridotti ed emissioni quasi del tutto trascurabili.
Nell’ultimo anno, HBI ha vinto numerosi premi nazionali e internazionali, tra i quali il Premio Impresa Innovazione D2T (Trentino Sviluppo, Trento), il Premio Speciale “Green and Circular Economy” e il Premio Speciale “Bioeconomy” (Global Social Venture Competition, Milano), Premio Speciale Italeaf (Italeaf e Intesa San Paolo), Alimenta2Talents (PTP, Expo e Comune di Milano), il Premio Unicredit StartLab (Unicredit, Milano) e il Premio Speciale Gaetano Marzotto (Roma).
Nei giorni 21 e 22 Settembre si è tenuto a Xi’an, in Cina, l’Euroasian Economic Forum, conferenza internazionale organizzata dal Ministero della scienza ed innovazione cinese assieme al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca italiano. Tra i temi trattati quello dell’innovazione e delle startup, nonché delle potenziali partnership tra imprese cinesi ed italiane. A rappresentare l’Italia, assieme ad altre 15 startup e aziende avviate, è stata chiamata HBI, vincitrice delle semifinali del concorso “China-Italy Innovation Entrepreneurship Competition 2017”.
Durante il forum internazionale, si è tenuta la finalissima del concorso durante la quale, è stata premiata tra le cinque migliori imprese. “Siamo estremamente contenti di questo risultato”, spiega Daniele Basso CEO di HBI, “perché abbiamo conteso il podio con aziende già avviate da tempo. Questa rappresenta per mio l’ennesima conferma che il nostro business plan è solido e che le prospettive di crescita sono ottime. Il nostro obiettivo ora in Cina è riuscire a stringere un accordo commerciale con un partner locale, per poterci aprire al mercato cinese ed asiatico”.
HBI, fondata dal ricercatore Daniele Basso, dall’imprenditore Renato Pavanetto assieme alla società Carretta Srl, ha ingegnerizzato un materiale, chiamato Greenpeat, che può essere utilizzato sia come combustibile solido ad alto rendimento per la produzione di energia pulita rinnovabile, sia come materiale in grado di aumentare la produttività e la fertilità dei terreni, diminuendo l’uso di fertilizzanti chimici e acqua.
Ma la vera innovazione di HBI sta nel processo di produzione di Greenpeat: questo materiale unico nel suo genere viene estratto in sole 5 ore dagli scarti organici biodegradabili, prodotti ad esempio dalle industrie agro-alimentari. Del team fanno attualmente parte anche Sara Sbroggiò, i fratelli Massimo, Giancarlo e Andrea Pavanetto e l’ing. Alberto Serena.
“Ora ci stiamo confrontando con alcuni investitori per riuscire a chiudere un primo round di finanziamento, con il quale andremo a realizzare il primo impianto a scala industriale”, sottolinea Renato Pavanetto. “Ad Ottobre saremo a Cipro per la finale internazionale del Climate KIC e ci contenderemo il podio con startup di altri 35 paesi”.
HBI insomma è non solo sinonimo di innovazione, ma anche di passione che mette insieme elementi importanti del nostro futuro quali : la salvaguardia dell’ambiente, i giovani ed il know-how tecnologico ed imprenditoriale delle aziende del territorio.
ALTO ADIGE «Abbiamo inventato una tecnologia che serve per trasformare gli scarti organici biodegradabili in un materiale che può essere usato sia come combustibile solido, pulito, rinnovabile e ad alto rendimento che come materiale ammendante per migliorare la crescita delle piante», spiega Daniele Basso, uno dei fondatori di HBI. Costituita nel 2016, la Start-up è nata da una tesi di dottorato dell’allora studente Daniele Basso e ha gli uffici nel NOI Techpark di Bolzano.
«La particolarità di questa tecnologia è che lavora con biomasse ad alto tenore di umidità e quindi è possibile trattare materiali che altrimenti sarebbe difficile trattare, ad esempio gli scarti dell’industria agroalimentare – illustra Basso – questi scarti normalmente vengono compostati o essiccati e messi in discarica con un notevole dispendio di energia e un notevole costo».
Non mancano i premi e i riconoscimenti per l’innovativa impresa. «Vincendo i premi ti metti in gioco ogni volta. Nel 2016 abbiamo vinto il Marzotto, forse il più grande riconoscimento a livello italiano», racconta Basso riguardo i successi di HBI. «Un altro premio molto importante è il premio Innovation and Entrepreneurship in Cina. L’abbiamo vinto a maggio dell’anno scorso e adesso siamo in contatto con un ente ministeriale del ministero di sviluppo economico cinese».
Si discute da tempo se l’Italia sia o meno un Paese per startup. I limiti sono noti: pochi investimenti, difficoltà nella fase di scale up, quel salto che compiono le imprese innovative quando cominciano a crescere.
Gli startupper, però, non mancano. Le percentuali di imprenditori seriali e accademici in Italia, rispettivamente del 24% e del 6%, sono simili ai valori europei. Le donne fondatrici, circa l’11%, sono leggermente superiori alla media, dicono recenti statistiche dell’Ocse. Per esempio, c’è Veil Energy, startup da Bolzano, creata da Marianna Benedetti, che produce energia dai fumi di scarto delle centrali a biogas, trasformando rifiuti termici in energia termoelettrica buona. Il 15 novembre aprirà, con altre cinque imprenditrici, il GammaForum Internazionale dell’Imprenditoria femminile e giovanile. Il futuro comincia anche da qui. E dalle altre idee che vi presentiamo in questa pagina.
G.Cimp.
Mettete nel motore un po’ di scarti alimentari
Rendere i rifiuti una risorsa. Daniele Basso aveva questo obiettivo quando nel 2016 ha fondato Hbi, startup con sede in Noi Tecnopark di Bolzano che produce Greenpeat, un materiale ottenuto dalla trasformazione dei rifiuti biodegradabili. Questo può essere utilizzato sia come combustibile solido ad alto rendimento, che come materiale ammendante per migliorare la crescita delle piante in ambito agricolo. «La nostra tecnologia lavora con biomasse ad alto tenore di umidità che consentono di trattare gli scarti dell’industria alimentare che normalmente vengono compostati o essiccati e messi in discarica con un notevole dispendio di energia e costi importanti per l’azienda». La startup ha appena avviato una collaborazione con l’Università di Bolzano per sviluppare il progetto Hb Ponics, che mira a realizzare un sistema per estrarre il digestato, un residuo proveniente dagli impianti di produzione di biogas, utilizzabile come fertilizzante in agricoltura idroponica.
G. Cimp.
Le startup trentine si fanno conoscere: la Htc Bio Innovation è tra le imprese premiate nell’ambito del concorso Unicredit StartLab che ha premiato le ditte più innovative in Italia nel settore delle tecnologie pulite Clean Tech. Htc Bio Innovation progetta e vende impianti di conversione idrotermica di tutte le taglie che trasformano gli scarti alimentari in un materiale, non putrescibile, con un contenuto energetico paragonabile a quello della torba fossile o addirittura della lignite, che sia utilizzabile per la produzione di energia, consentendo quindi una gestione efficiente dei rifiuti.
E una delle imprese trentine nate all’interno di Progetto Manifattura, l’hub di trentino sviluppo per la green economy ed è stata premiata presso l’UniCredit Tower di Milano, dove si è tenuta l’ultima delle quattro selezionidel concorso. «Con la tecnologia che abbiamo sviluppato – spiega Daniele Basso, uno dei fondatori di Htc Bio Innovation (in foto, durante la premiazione) – riusciamo a trasformare uno scarto vegetale in torba fossile. In tre ore di laboratorio facciamo quello che la natura fa in migliaia di anni. Questo materiale può essere usato sia come combustiLa startup è nata durante un dottorato di ricerca, a dimostrazione di come sia cruciale il legame tra istituti di ricerca e incubatori d’impresa. Il terzo posto ottenuto da Htc Bio Innovation al concorso Unicredit StartLab va ad aggiungersi agli altri premi già vinti dall’impresa, ovvero il Premio D2T, la start cup trentina vinta nel 2015, ed il «Global Social Venture Competition» promosso dalla Haas School of Business di
Berkeley per favorire lo sviluppo di nuove imprese a forte rilevanza sociale o ambientale. «Siamo molto soddifsfatti» commenta Michele Tosi, direttore Area incubatori e nuove imprese di trentino sviluppo.