DI Carlo Valentini – Italia Oggi 10 giugno 2023
Così si dà un valore ai fanghi
In Europa se ne producono 50 milioni di tonnellate l’anno
di Carlo Valentini
«Il brevetto è arrivato dopo anni di ricerca ma ora questa tecnologia è un vanto del made in Italy. Attraverso i processi che abbiamo brevettato, dai fanghi, cioè dal prodotto residuo della depurazione delle acque reflue, riusciamo a recuperare acqua, ammoniaca ed energia termica, tale da rendere il nostro sistema energeticamente neutrale. Un risultato straordinario ottenuto integrando due processi: la carbonizzazione idro termale e la gassificazione. Stiamo inoltre perfezionando un ulteriore processo che consentirà di separare i metalli pesanti dalle ceneri residue, con l’obiettivo di ottenere un prodotto fertilizzante conforme alla normativa europea, mediante cui vengono recuperate materie prime critiche come fosforo, azoto e potassio, e si riduce fino al 94% il rifiuto da avviare a smaltimento finale».
Daniele Basso, con un dottorato di ricerca in ingegneria ambientale, ha co-fondato nel 2016 Hbi, azienda che si occupa di recupero di materie prime e di energia rinnovabile, dal 2021 è partecipata da NovaCapital, l’holding presieduta da Paolo Merloni. Lo scorso anno ha ricevuto il certificato europeo Environmental Technology Verification, che ha convalidato che la tecnologia brevettata è l’unica ad oggi esistente in grado di recuperare fino al 94,3% della materia e dell’energia contenuta nei fanghi, garantendo circolarità e sostenibilità.
Domanda. Come si è arrivati a questi brevetti?
Risposta. Tutto è nato dalla mia attività di ricercatore universitario e dalla consapevolezza che occorresse imprimere un’accelerazione alla messa in pratica delle ricerche di laboratorio. Ciò è stato possibile grazie alla collaborazione con le università, in particolare Bolzano, Padova e Politecnico di Milano. Non è dalla ricerca che sono arrivate le difficoltà ma dal cambiare un paradigma industriale ovvero dalla difesa dello status quo e delle rendite di posizione. Però alla fine ha vinto la nostra sfida di rivoluzionare il concetto dei fanghi: da rifiuto, a miniera di energia e risorse fondamentali.
D. Quindi la collaborazione tra università e impresa può funzionare?
R. Sì, noi siamo nati come startup con all’attivo già due dottorati di ricerca finanziati e diverse borse di studio, grazie a cui sono stati prodotti numerosi articoli scientifici, alcuni dei quali hanno costituito la base dei brevetti. La nostra esperienza dimostra che il mondo universitario e della ricerca, perlomeno nell’ambito dell’ingegneria ambientale e chimica, è assolutamente aperto e capace di interagire in modo proficuo con l’impresa, posto che questa abbia chiari i traguardi che intende perseguire con le attività di ricerca.
D. Quali sono i punti di forza e di debolezza del rapporto pubblico-privato?
R. La P.a. ha oggettivamente delle difficoltà a sfruttare in modo strategico il rapporto con il privato. Difficoltà dovute sia all’ordinamento, in particolare alla disciplina degli appalti, sia ad un pregiudizio che ancora esiste, che vede nel privato un antagonista. Il rapporto pubblico-privato è invece fondamentale: senza l’apporto del privato non c’è innovazione ma senza l’accompagnamento e la facilitazione del pubblico l’innovazione resta in laboratorio.
D. Come affrontare in modo corretto la transizione ecologica?
R. Ci vuole innanzitutto un grande sforzo educativo alla sostenibilità, a partire dalla scuola dell’infanzia. Senza una profonda consapevolezza che porti ad un cambiamento dei comportamenti individuali, non può esserci transizione. In parallelo, occorre che la regolamentazione ponga incentivi e disincentivi sempre più stringenti. Ad esempio, nel nostro settore, la normativa europea già prevede che i depuratori delle acque siano energeticamente autonomi dal 2040. Occorrerebbe aggiungere che dovrebbero obbligatoriamente trattare i fanghi per recuperare acqua e materie critiche. Quello che avviene oggi invece è che nei depuratori si realizzano essiccatori per i fanghi che lasciano evaporare l’acqua e producono materiale per le discariche. In questo modo facciamo un passo avanti e uno indietro. C’è da aggiungere che la transizione implica un cambio di paradigma che necessariamente tocca interessi esistenti. Nel nostro ambito, si pensi a come sono gestiti oggi i fanghi con incenerimento, conferimento a discarica o spargimento in agricoltura. Invece potrebbero essere una risorsa.
D. Quali sono i vantaggi dell’economia circolare?
R. L’economia circolare è decisiva per preservare i sistemi naturali e non rinunciare allo sviluppo, quindi favorisce il benessere. Perciò implementare l’economia circolare in tutti gli ambiti possibili, dall’ambiente alla produzione industriale, ci consentirà uno sviluppo sostenibile e senza danneggiare le future generazioni.
D. Che cosa si aspetta dal Pnrr?
R. Che si realizzino interventi e infrastrutture in grado di proiettare nel futuro il nostro Paese, che in molti campi è oggettivamente indietro. Oltre alla sostenibilità ambientale penso al digitale e all’inclusione sociale, dove scontiamo gravi ritardi che il Pnrr potrà colmare, se effettivamente realizzato.
D. Su quali nuove linee di ricerca siete impegnati?
R. Stiamo attualmente lavorando sul recupero di materie prime critiche, così come definite dall’Unione Europea. Il tema è di forte attualità nonché strategico. Molte di queste materie vengono infatti importate da Paesi extra-EU, non sempre politicamente affidabili, molto spesso non vengono recuperate. Ciò significa che, ancora una volta, stiamo assistendo ad un approccio tipico dell’economia lineare, non circolare: si acquista, si utilizza e si smaltisce. Il nostro obiettivo, è quello di circolarizzare questi materiali, rendendone l’utilizzo efficiente e sostenibile, e quindi diminuendo la dipendenza dalle importazioni.
D. Ci sono progetti di espansione all’estero?
R. Ora siamo concentrati sul mercato italiano, su cui c’è molto da fare, considerando anche le procedure di infrazione in essere. Stiamo comunque già guardando all’internazionalizzazione poiché non vogliamo perdere il vantaggio che ci danno i brevetti e l’innovazione tecnologica che siamo riusciti a realizzare, tanto che sono già operative partnership commerciali con player multinazionali. Ma con un adeguato supporto finanziario andremo presto direttamente sui mercati esteri. In Europa si producono 50 milioni di ton/anno di fanghi di depurazione e il trend prevede un costante aumento nella produzione di questi scarti. Nel mondo sono 200 milioni di ton/anno, anche queste in costante aumento. Quindi la nostra attività ha prospettive di sviluppo assai interessanti in campo internazionale ed è un esempio di come il made in Italy possa vincere pure in settori ad elevato know how.