Di Chiara Micalizzi- Staffetta Quotidiana 3 luglio 2023
Intervista a Daniele Basso, presidente e amministratore delegato di HBI, la società che trasforma i depuratori in bioraffinerie poligenerative
Nella strategia che dovrà condurre l’Italia alla riduzione della dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento delle materie prime critiche, un grosso contributo potrà arrivare dalla depurazione dei fanghi di acque reflue. Ne abbiamo parlato con Daniele Basso, presidente e amministratore delegato di HBI, società fondata nel 2016. Nata come start up innovativa dall’incontro tra l’ingegnere Basso e l’imprenditore Renato Pavanetto, oggi HBI ha all’attivo tre brevetti industriali e vanta collaborazioni durature con la Libera Università di Bolzano, Enea e il Politecnico di Milano, oltre ad essere parte della Piattaforma nazionale del fosforo. A luglio 2020 sono entrati a far parte del capitale dell’azienda anche Domenico Greco, presidente di Next Generation Venture (Ngv), e Roberto Alibrandi, fondatore di Aliplast, seguiti nel 2021 da NovaCapital. Un ulteriore aumento di capitale, sottoscritto interamente da NovaCapital, è stato approvato dall’assemblea degli azionisti della società a febbraio di quest’anno. La tecnologia brevettata dall’azienda permette di trasformare i depuratori in sistemi industriali in grado di recuperare acqua e materiali strategici, come ammoniaca e nutrienti, recuperando e riciclando più del 90% della materia contenuta nei fanghi. Questo risultato è stato certificato anche a livello europeo dalla piattaforma Environmental Technology Verification (Etv).
La tecnologia di HBI consente di trasformare gli impianti di depurazione delle acque reflue in bioraffinerie poligenerative. Come funziona esattamente?
La tecnologia che abbiamo sviluppato e brevettato consente di separare e recuperare acqua, energia e nutrienti dai fanghi di depurazione, attraverso l’integrazione e la sinergia fra due processi termo chimici: la carbonizzazione idro termica Htc, la gassificazione, più un post trattamento delle ceneri residue, anch’esso brevettato. In particolare, l’Htc sfrutta le proprietà dell’acqua pressurizzata, che consentono di densificare il contenuto di carbonio all’interno dei fanghi e separare l’acqua e gli altri elementi inerti, mentre la gassificazione consente di trasformare gli elementi energetici, ad esempio carbonio e idrogeno, in un gas combustibile. La parte residuale, le ceneri di gassificazione, viene invece trattata per il recupero dei nutrienti di cui i fanghi sono molto ricchi.
Attualmente quanti sono gli impianti che sfruttano la vostra tecnologia in Italia?
Ad oggi abbiamo realizzato due installazioni: la prima presso il depuratore di Bolzano e la seconda, dal gennaio del 2022, a Fusina, nel Comune di Venezia, dove il nostro impianto è attualmente in funzione in modo continuativo. Abbiamo in programma di realizzarne diversi altri nel breve termine.
In termini di capacità di trattamento, di quali volumi di fanghi parliamo ogni anno?
I nostri impianti sono modulari e adattabili alle differenti esigenze, da una taglia minima di trattamento di 5-6.000 tonnellate/anno fino a oltre 50.000 tonnellate/anno. Vale la pena ricordare che nel 2020 in Italia si sono prodotte circa 3,4 milioni di tonnellate di fanghi provenienti dal trattamento delle acque reflue urbane, che Ispra stima crescere annualmente del 10%. Di questi, più del 50% sono stati avviati a smaltimento con tecniche quali l’essiccamento e l’incenerimento, che rimangono metodi non sostenibili e non efficienti poiché non consentono un’adeguata valorizzazione delle risorse ad altro valore aggiunto contenute nei fanghi. Non solo: si tratta inoltre di metodiche particolarmente costose per i contribuenti, con costi di trattamento e smaltimento dei fanghi che attualmente sono nell’intorno di 150-200 euro/tonnellata.
Sono necessari pre-trattamenti?
No. Una caratteristica della nostra tecnologia è che non richiede alcun pre-trattamento dei fanghi, consentendo quindi di trattare sia fanghi tal quali sia post digestione anaerobica. Questo rappresenta un indubbio vantaggio perché l’efficienza della tecnologia non dipende dalle caratteristiche del fango.
Quanta energia consuma?
Grazie al recupero di tutta l’energia contenuta dai fanghi, i nostri impianti sono autonomi dal punto di vista energetico, ovvero consumano solo l’energia recuperata attraverso il processo.
Quali e quante materie prime critiche è possibile recuperare dai reflui grazie alla vostra tecnologia? Siete in grado di fornire dei numeri?
Questo è sicuramente uno degli aspetti più strategici, su cui fin dalla nascita di HBI abbiamo concentrato le nostre attività di ricerca e sviluppo, in collaborazione con le maggiori università italiane. I fanghi di depurazione sono infatti molto ricchi di materie prime critiche: oltre all’acqua, che possiamo ben considerare materia prima critica in senso lato e che noi riusciamo a recuperare nella misura di oltre l’80% di quella contenuta nei fanghi, attraverso la nostra tecnologia riusciamo a recuperare azoto, fosforo, potassio, ferro, calcio, magnesio, rame, zinco, boro e manganese. Le quantità ricavabili dipendono dalla tipologia dei fanghi trattati ma se ipotizzassimo di trattare in questo modo tutti i fanghi prodotti in Italia avremmo a disposizione ogni anno, ad esempio, circa 20.000 tonnellate di azoto, 6.600 di fosforo, oltre 17.000 di magnesio, 2.700 di zinco e inoltre rame, zinco, boro, manganese in quantità rilevanti.
I materiali recuperati possono essere classificati come sottoprodotti?
In questo momento ci stiamo concentrando sui nutrienti per l’agricoltura. Il sistema brevettato da HBI di post trattamento consente di ottenere un agglomerato fertilizzante classificabile come Pfc secondo la direttiva 1009/2019 in quanto rispetta i criteri e i limiti previsti dalla normativa. Ne consegue che i materiali così recuperati ricadano già nella disciplina dell’end of waste.
Il vostro sistema poligenerativo può essere installato in impianti già esistenti?
Assolutamente sì. Una caratteristica distintiva e` che la nostra tecnologia ha dimensioni compatte e può essere quindi aggiunta in modalità plug-and-play, con estrema facilità, a impianti già esistenti sui territori, come ad esempio la rete dei depuratori comunali, trasformandoli in impianti zero-waste a tutti gli effetti. I moduli di minore taglia possono inoltre essere mobili e quindi servire sia i depuratori delle aree interne sia le località turistiche, quest’ultime caratterizzate da picchi stagionali di persone, e quindi dall’aumento del volume di acque reflue e dei relativi fanghi di depurazione in specifici periodi dell’anno.
Quanto costerebbe a un’impresa implementare la tecnologia HBI?
HBI si propone al mercato come fornitore di servizi ad alto valore aggiunto. Il nostro modello prevede l’installazione, la gestione e la manutenzione dell’impianto con il beneficio per l’operatore di una riduzione immediata dei costi di gestione dei fanghi tra il 15% e il 25% rispetto alle tariffe attuali. I nostri clienti non devono sostenere costi di realizzazione (capex) ma solo i costi del servizio con un beneficio immediato sul loro conto economico.
Secondo voi, qual è il più grosso ostacolo che attualmente impedisce una diffusione più capillare del vostro sistema poligenerativo?
Fino a oggi i fanghi di depurazione sono stati considerati degli scarti e hanno costituito un problema da gestire. Occorre ribaltare questa prospettiva e considerare i fanghi una risorsa da valorizzare. È necessario quindi un cambio di paradigma. La normativa europea già prevede che i depuratori delle acque siano energeticamente autonomi dal 2040. Occorrerebbe aggiungere la previsione che i fanghi siano sempre trattati per il recupero di acqua e materie critiche, disincentivando le altre metodiche che perseguono il mero recupero di energia e la parziale riduzione della massa e che non soddisfano in modo sostenibile i criteri dell’economia circolare.
Il progetto di HBI ha vinto una serie di importanti premi e riconoscimenti, sia a livello nazionale che internazionale.
Quali sono i vostri programmi per il futuro? Guardate anche all’estero?
I numerosi riconoscimenti testimoniano la bontà del progetto e l’efficacia della tecnologia. Particolarmente significativa per noi è la certificazione Etv (Environmental Technology Verification) ottenuta nel 2022, che ha validato la nostra tecnologia come la più evoluta ed efficiente. Siamo però solo all’inizio del nostro percorso e abbiamo ancora molto da sviluppare e offrire: crediamo infatti che l’Italia possa diventare la frontiera dell’eccellenza tecnologica e ambientale in questo ambito. Nel breve termine intendiamo quindi restare focalizzati sul mercato italiano, su cui c’è molto da fare considerando anche le procedure di infrazione in essere, ma ci stiamo attrezzando per affrontare e competere anche nei mercati internazionali.
Attualmente siete impegnati in altre attività di ricerca e sviluppo?
Fin dalla sua fondazione, HBI ha svolto attività di ricerca e sviluppo in collaborazione con le maggiori università italiane, in particolare Bolzano, Padova e Politecnico di Milano. Abbiamo all’attivo già due dottorati di ricerca finanziati e diverse borse di studio, grazie a cui sono stati prodotti numerosi articoli scientifici, alcuni dei quali hanno costituito la base dei nostri brevetti. Attualmente stiamo perseguendo diversi filoni di ricerca. In particolare, sul recupero e l’utilizzo dell’ammoniaca contenuta nei fanghi, che riusciamo ad estrarre durante il processo di trattamento e che può essere utilizzata sia tal quale, come combustibile nei settori hard to abate, sia come vettore di idrogeno.